Il ruolo dell’alfabetizzazione nella crescita economica del dopoguerra in Italia, accompagnato dall’accesso universale a ogni ordine e grado della scuola pubblica è stato un fattore determinante della crescita economica del nostro Paese dalla fine della Seconda guerra mondiale fino agli anni Ottanta, quando la situazione relativa all’accesso all’istruzione ha iniziato a subire cambiamenti considerevoli.
Da sempre bassa percentuale di alfabetizzazione
L’Italia era un paese con bassa alfabetizzazione, caratterizzato per contro da una vasta platea di attività che istruivano al loro interno apprendisti a partire anche dall’età dei primi cicli scolastici, utilizzandoli spesso come manodopera attiva.
L’artigianato che è stato il primo a essere chiamato alla rinascita del paese, rispondendo alla crescita della domanda interna di beni e servizi, poteva contare su abili operai frutto di anni di apprendistato, che spesso erano alle soglie dell’alfabetizzazione se non del tutto analfabeti.
Specie nelle aree rurali erano presenti sacche di profondo analfabetismo diffuso in tutte le fasce di età.
Lo sforzo della neonata Repubblica nella diffusione delle scuole, con l’obbligo scolastico fino ai 13 anni, con due diversi cicli di formazione, l’apertura a tutti dell’accesso alle scuole superiori, licei e magistrali, la creazione di nuovi istituti professionali al passo con i tempi, hanno formato in quegli anni i tecnici, i ragionieri, i geometri, gli umanisti, gli ingegneri e gli architetti, i medici e gli avvocati che hanno tanto contribuito a far sì che il nostro Paese potesse essere annoverato tra le potenze occidentali.
La scolarizzazione diffusa ha migliorato la qualità delle attività artigianali, spesso elevandole ad attività industriali, ha prodotto eccellenze nel design che hanno garantito mercati e fatturati all’industria italiana nel mondo, dai mobili alle auto, dagli elettrodomestici agli yacht, incidendo profondamente sulla crescita economica della nazione e sul reddito dei suoi cittadini.
Con la cultura è quindi arrivato anche il benessere sociale e individuale, la domanda di migliori condizioni di vita e di lavoro, una rivoluzione dei costumi che ci ha trainato fuori dalla realtà di paese prettamente agricolo dei primi del Novecento.
L’aspetto legato al bisogno di migliorare le proprie condizioni di vita, grazie a un’aumentata coscienza frutto delle conoscenze culturali e tecniche acquisite grazie all’accesso all’istruzione universale, ha fatto sì che anche il mercato interno contribuisse all’aumento di quel Prodotto Interno Lordo cui tutti fanno riferimento per misurare la salute di una nazione.
Nel contempo ha consentito anche la creazione di molte e diverse classi economiche, contraddistinte dall’appartenenza a una determinata forza lavoro: i metalmeccanici, gli edili, gli artigiani, i colletti bianchi, i dipendenti pubblici, i bancari, i liberi professionisti e così via.
La crescita di una sempre più numerosa borghesia, prevalentemente rappresentata da persone acculturate, diplomate e laureate, ha dato slancio all’economia del Paese inserendola tra le prime 10 al mondo fino agli anni Novanta.